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4 Maggio 2014

A dream comes true.


È un sabato di maggio che sembra febbraio. Io e Marianna oggi facciamo le imbianchine e cerchiamo di trasformare la lunga parete della sala riunioni in una lavagna.

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Tra pochi giorni questo sarà il posto in cui lavoreremo tutti insieme. Se ripenso a come eravamo a gennaio, mi vengono le vertigini. Questi ultimi 4 mesi sono stati densissimi, appassionati e sofferti, introspettivi e rivelatori.

“Voglio un team di designer.”

Si fa presto a dirlo. Ma tra il volerlo, l’averlo e starci scorrono un mare di cose. E così ho scoperto che per volere un team non bastano le persone. Bisogna fare i conti con i caratteri di ognuno, le motivazioni e le paure, i trascorsi e le aspettative.
Poi scopri che avere un team significa anche condividere una visione e costruire una cultura, che in fondo, pian piano lo sto capendo, è cultura d’impresa.
Fino all’anno scorso, l’insight professionale più importante che ho avuto come freelance è ruotato intorno alla ridefinizione del concetto di qualità. Da un anno, il più importante riguarda il lavorare in team.

Rispetto è la parola che mi chiude la bocca. Me la chiude (quasi) ogni volta che sto per aprirla quando discuto con i miei soci e colleghi sulla linea da tenere, ogni volta che ho un dubbio o bisogno di una risposta.
Sincerità la seconda.
Coraggio la terza.

In 4 mesi abbiamo speso moltissime energie per parlarci, confrontarci, allinearci, verificare, smontarci e rimontarci, riposizionarci e riconoscerci di nuovo.

Head of (UX) design.
Almeno per un po’.

Un anno fa siamo partiti a testa bassa, applicando ognuno il suo metodo. Ci siamo confrontati e tarati nel corso dei mesi e ora ne abbiamo uno sempre più condiviso. Ora da qui stiamo passando al processo e sì, abbiamo fatto così un po’ consapevolmente e un po’ in freestyle, accorgendoci delle conseguenze dei nostri comportamenti e delle nostre decisioni.
Avremmo potuto fare diversamente? Sicuramente sì, ma siamo riusciti a farlo così. In futuro vedremo se avremo fatto bene.

Ora che siamo più consapevoli del punto in cui ci troviamo e che ci conosciamo meglio, abbiamo ridefinito i nostri ruoli in GNV e il mio sarà Head of (UX) design. Che, per come lo intendo io, per ora significa che vigilerò sui processi e sui metodi, sugli approcci e sui valori, almeno finché non saranno nel DNA di GNV.
Oggi ricorriamo ai metodi e ai processi perché siamo in fase di costruzione della nostra cultura. Ma domani, quando le basi culturali saranno consolidate, sono certa che parleremo sempre di più di visione, obiettivi e decisioni. Più di “cosa” che di “come”.
Rubo dal post di Fabio questa citazione di Brian Chesky di Airbnb:

“The stronger the culture, the less corporate process a company needs. When the culture is strong, you can trust everyone to do the right thing. People can be independent and autonomous. They can be entrepreneurial…”

Nel suo post, Fabio si/ci chiede: si possono trasmettere i valori e la cultura?
Visto il ruolo che rivesto adesso, quanto mi risuona questa domanda… Credo di sì, trasmetterli è possibile. Quello che non possiamo sapere è quali saranno le conseguenze di questa trasmissione, sia nelle singole persone che nel team.
Perciò oggi è così, oggi è “head di…”, domani chissà.

Mia. Cioè nostra.

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E quindi, eccomi qui, chiavi in mano, in un’azienda che sento finalmente mia e non solo perché ne sono socia. Se lo sono è perché credo in quello che facciamo e nella cultura che stiamo definendo. Se la sento così è grazie a noi che la costituiamo e spero che i miei soci la sentano loro nel modo in cui io la sento mia.

Vorrei avere qualche energia in più per guardare ancora un pochino oltre ma al momento sono al limite. Tra qualche mese la transizione che stiamo vivendo sarà ben avviata sui binari giusti e sarò felice di tornare a curiosare su alcune delle cose che ultimamente ho dovuto lasciar andare.
Ora ci vogliono giudizio e pazienza.

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